Il “segno di Maria” che andiamo a esaminare questa volta è quello custodito dalla devozione a Santa Maria del Fonte, essendo questo il nome con cui la Vergine Santissima è venerata presso il Santuario a lei dedicato a Caravaggio, in provincia di Bergamo.
Caravaggio, un santuario che è nel cuore di milioni di fedeli in Italia e nel mondo, un luogo sacro che occupa un posto di indubbio rilievo nella devozione mariana. Perché la scelta di questo santuario? Perché, seguendo il metodo evangelico del “vieni e vedi”, è un santuario in cui mi sono recato più volte, l’ultima delle quali appena qualche tempo fa. Una giornata dal sapore prettamente invernale, con una fredda aria che tutto invitava a fare fuorché a esser in giro, all’aperto. Eppure intorno al Santuario centinaia di pellegrini, come ogni domenica, affollavano la piazza antistante la basilica, mentre la chiesa stessa era stracolma dei fedeli – tra quelli, anch’io – che partecipavano alla celebrazione eucaristica.
Che cosa può richiamare tanti fedeli in un luogo simile?
Questa domanda è risuonata in me, prepotente, quando, qualche tempo dopo, ho potuto rileggere alcune delle parole pronunciate dal Santo Padre Giovanni Paolo II in occasione della visita al Santuario di Caravaggio nel 1992 (19-21 giugno), allorché, rivolgo ai giovani, li invitò a “gridare che la vita è un dono meraviglioso di Dio (…), che la vita segnata dalla croce e dalla sofferenza merita ancor più attenzione, cura e tenerezza” concludendo poi:
“Ecco la vera giovinezza: è fuoco che separa le scorie del male dalla bellezza e dalla dignità delle cose e delle persone; è fuoco che riscalda di entusiasmo l’aridità del mondo; è fuoco d’amore che infonde fiducia e invita alla gioia”. Ecco dunque, che ho scelto Caravaggio proprio perché ognuno di noi possa ritrovare questa giovinezza del cuore di cui parlava Giovanni Paolo II, riconoscendo ogni giorno la vita come il più prezioso dei doni ricevuti.
Iniziamo dunque il nostro viaggio alla scoperta di Caravaggio, rileggendo insieme un documento che traccia le origini della devozione mariana là praticata:
<<Dio ricco di misericordia e onnipotente, che con la sua provvidenza tutto soavemente dispone, per quella pietà che non lascia mai privo nessun fedele del suo celeste aiuto, un giorno si compiacque di riguardare, soccorrere e perfino onorare il popolo di Caravaggio con l’Apparizione della Vergine Madre di Dio.
L’anno 1432 dalla nascita del Signore, il giorno 26 maggio alle ore cinque della sera, avvenne che una donna di nome Giannetta, oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchi e sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali.
Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, Giannetta, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco.
Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò: Maria Vergine!
E la Signora subito a lei: Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in preghiera.
Giannetta ripose: Signora, adesso non ho tempo. I miei giumenti aspettano questa erba.
– Non dobbiamo scambiare per ingratitudine questa espressione di Giannetta, quanto piuttosto come espressione di quella semplicità d’animo tutta concreta e operosa che la contraddiceva
Allora la beatissima Vergine le parlò di nuovo: Adesso fa quello che voglio da te…
E così dicendo posò la mano sulla spalla di Giannetta e la fece stare in ginocchio.
– Ecco la pedagogia mariana: dolce, paziente, è Maria che ci aiuta a trovare la giusta posizione – di fronte a lei, di fronte alla vita – accompagnandoci dolcemente, posando sulla spalla di ognuno di noi la sua mano per guidare il nostro cammino.
Riprese: Ascolta bene e tieni a mente, perché voglio che tu riferisca ovunque ti sarà possibile con la tua bocca o faccia dire questo…
E con le lacrime agli occhi, che secondo la testimonianza di Giannetta erano, e a lei parvero come oro luccicante, soggiunse: L’altissimo onnipotente mio Figlio intendeva annientare questa terra a causa dell’iniquità degli uomini, perché essi fanno ciò che è male ogni giorno di più, e cadono di peccato in peccato. Ma io per sette anni ho implorato dal mio Figlio misericordia per le loro colpe.
– È impressionante sentirsi dire che la “misura è ormai colma” già nel 1432: il tono ricalca quello delle apparizioni di La Salette quando, nel 1846, la Madonna appare, tra le lacrime, proprio per dire a Massimino e Melania che i peccati dell’umanità hanno raggiunto un tale peso da spingere la giustizia divina a preparare il meritato castigo: è Maria stessa che intercede presso il Figlio, trattenendo il braccio di Gesù dallo sfogare la giusta collera. Se già nel 1432 il messaggio di Maria è di questo tenore – occorre abbandonare il peccato perché l’iniquità degli uomini è ormai degna del castigo divino – immaginiamoci con quanta maggior pena la Vergine poteva ridire queste parole a La Salette; e pensiamo con quanta maggior sollecitudine dovremmo considerare la serietà del presente momento, e l’urgenza per l’umanità di liberarsi dalla schiavitù del peccato, supportando con il personale desiderio di conversione l’opera di intercessione instancabilmente svolta dalla Vergine Maria con suppliche e preghiere presso il Figlio Gesù.
Perciò voglio che tu dica a tutti e a ciascuno che digiunino a pane ed acqua ogni venerdì in onore del mio Figlio, e che, dopo il vespro, per devozione a me festeggino ogni sabato. Quella metà giornata devono dedicarla a me per riconoscenza per i molti e grandi favori ottenuti dal Figlio mio per la mia intercessione.
– Maria si presenta in modo chiaro e inequivocabile come la mediatrice, come Colei che intercede presso il Figlio con abbondanti preghiere; notiamo poi che subito viene richiesta la pratica del digiuno a pane e acqua ogni venerdì, esprimendo quell’invito alla penitenza e alla conversione che contrassegnerà poi le apparizioni e i messaggi mariani di Otto e Novecento, fino a culminare nell’appello di conversione rivolto in questo tempo dalla Regina della Pace a tutto il mondo. Perché il digiuno ricorre così abbondantemente nelle parole della Vergine? Non si potrebbe ritenerla una pratica di devozione puramente esteriore oppure antiquata rispetto alle esigenze del terzo millennio? Affatto! Perché il digiuno, quando sia inteso come sincera pratica devozionale, ha il pregio di costituire una scuola di prima qualità per il rafforzamento di quella volontà che è il primo baluardo contro il peccato; non dimentichiamo poi che siamo anche noi chiamati, come Maria, alla preghiera e all’offerta di intercessione: ogni sacrificio compiuto con tale spirito, ogni digiuno vissuto per la salvezza delle anime e la conversione dei peccatori ci associa proprio in questa grande opera di “mediazione” presso Dio in favore degli uomini.
La Vergine Signora diceva tutte quelle parole a mani aperte e come afflitta. Giannetta disse: La gente non crederà a me.
La clementissima Vergine rispose: Alzati, non temere. Tu riferisci quanto ti ho ordinato. Io confermerò le tue parole con segni così grandi che nessuno dubiterà che tu hai detto la verità.
Detto questo, e fatto il segno di croce su Giannetta, scomparve ai suoi occhi.
Tornata immediatamente a Caravaggio, Giannetta riferì tutto quanto aveva visto ed udito. Perciò molti – credendo a lei – cominciarono a visitare quel luogo, e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno. A quella fonte si recarono allora alcuni malati, e successivamente in numero sempre crescente, confidando nella potenza di Dio. E si diffuse la notizia che gli ammalati se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della gloriosissima Vergine Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo.>>
Non si sa a quando risalga questo preziosissimo documento, ma siamo a conoscenza del fatto che fu il Vescovo di Cremona, nel 1599, a richiederne una trascrizione come documento ufficiale dell’apparizione del 1432. Non si può datare dunque l’originale, ma senz’altro lo si può far risalire a prima del 1599, appunto.
È una relazione davvero commovente, che subito pone in evidenza come la Madonna si presenti a Giannetta con le lacrime agli occhi, afflitta, facendo suo il dolore del Figlio per i molti peccati dell’umanità. La cosa rientra nello spirito del tempo, se pensiamo che tutto il XV secolo fu segnato dalle ostilità tra la repubblica veneta e il ducato di Milano, alternando conflitti sanguinosi a paci davvero precarie.
In questo scenario di peccato e di violenza, ecco che Maria offre un segno importante: una fonte d’acqua che appare dove prima non era presente alcuna sorgente. Il dono dell’acqua richiama un elemento assai presente nel Vangelo, come segno di quella purificazione che coincide con la trasformazione intima del cristiano, liberato dal peccato con l’acqua del Battesimo: ricordiamo che è Gesù stesso che offre una immagine di questa radicale trasformazione che l’incontro con Lui opera nel cuore dell’uomo quando, su invito di Maria – sempre Lei, la mediatrice per eccellenza – trasforma l’acqua in vino alle nozze di Cana.
L’acqua della fonte dunque, come a Lourdes. Ecco il primo segno. E, ancora come a Lourdes, un’acqua in grado di operare miracoli, di portare a guarigioni prodigiose. Questo è dunque il secondo dei segni che la Vergine stessa aveva promesso come garanzia di veridicità dell’apparizione e per persuadere chi l’ascoltasse che stava dicendo il vero. L’acqua è dunque espressione della potenza risanatrice della grazia di Dio che, per intercessione di Maria, opera la guarigione del corpo. E, cosa ancor più importante, risana le ferite del cuore. Se ci si reca oggigiorno a Santuario di Caravaggio si nota quanta importanza abbia il fonte nel complesso del luogo sacro. Vediamo dunque meglio quale sia la storia del Santuario stesso e attraverso quali tappe esso sia giunto ad assumere la conformazione attuale.
Anzitutto occorre precisare che la cura dell’edificio sacro venne da subito affidata alla confraternita laicale di Santa Maria, sorta nella prima metà del XIV secolo e dedita a opere di carità e di devozione, riconosciuta ufficialmente al punto da essere dotata di un proprio altare presso la chiesa parrocchiale di Caravaggio. Non sorprende dunque che, poco dopo l’apparizione della Vergine, quando i notabili di Caravaggio si recano dal Vescovo di Cremona per riferire dell’accaduto, nel luglio 1432, subito richiedano l’esame del prelato per attestare al più presto l’autenticità degli eventi, aggiungendo altresì la richiesta di poter edificare una chiesa e un ospedale, affidandone la gestione proprio alla suddetta confraternita di Santa Maria.
A questo punto giova notare che non è la Vergine a richiedere l’edificazione del luogo sacro – come invece accadde a Laus o a Lourdes, per citare due esempi tra i tanti – ma è iniziativa spontanea dell’uomo. La cosa non deve stupire, se si pensa che non poteva mancare questa intenzione come immediata espressione della gratitudine per le guarigioni che, fin da subito, la fonte, miracolosamente donata dalla Vergine, altrettanto miracolosamente opera. Quanta consapevolezza ci fosse nel potere taumaturgico dell’acqua lo si evince proprio dal fatto che fin da subito si avanza la richiesta di edificare non solo una Chiesa ma altresì un ospedale. Nell’ospedale si accolgono i pellegrini che, infermi e ammalati, vengono alla Vergine della Fonte per chiedere la guarigione. Ma si svolgono altresì servizi di carità per i poveri, distribuendo loro cibo e vestiario, come pure di accoglienza per giovani apprendisti, giovani fanciulle e pellegrini non abbienti.
Il vescovo concede che la prima pietra della cappella sia posta nello stesso 1432, fino a divenire una vera e propria chiesa a inizio ‘500. Salvata la cappella originale dell’apparizione e il Sacro Fonte, la chiesa vecchia venne demolita e ricostruita – più stabile e sicura – a partire dal 1571.
Attualmente si accede al santuario tramite la monumentale Porta Nuova, sulla quale risalta il complesso marmoreo della Vergine che appare a Giannetta; attraversata tale porta, si apre un largo viale alberato che conduce al santuario, arrivando sul fianco della basilica stessa. L’edificio sacro è circondato da circa 800 metri di porticati che creano uno spazio coperto che nel passato era destinato al ricovero notturno dei pellegrini, mentre oggi disegna un percorso riservato alla preghiera e alla meditazione individuale.
Sul piazzale antistante il tempio, nei pressi della fontana, si trova un obelisco che ricorda un singolare fatto del 1550, quando un soldato dell’esercito della Repubblica Veneta rubò dal Sacro fonte una preziosa tazza e la nascose nel bagaglio caricato sul proprio mulo; al momento di ripartire la bestia, ostinatamente, si rifiutava di muoversi: il singolare comportamento dell’animale portò a scoprire il furto e alla restituzione della preziosa suppellettile. In ricordo del prodigioso evento venne edificata prima una cappellina, rovinata la quale fu rimpiazzata da una prima colonna a metà del ‘700 e dall’attuale obelisco nel 1911.
Nel piazzale si trova dunque la fontana, lunga circa 50 metri, la cui acqua scorre sotto il santuario raccogliendo quella del sacro fonte per uscire poi, nel piazzale sud, in una piscina dove i fedeli usano fare bagni e immersioni.
L’interno del santuario, a una sola navata, comprende due corpi: uno maggiore, con quattro cappelle per lato, le cantorie e l’ingresso principale, e uno minore, con la discesa al sacrario. Proprio sotto la cupola, e sopra il sacrario, si trova l’altare maggiore, visibile da ogni punto del tempio: è un ricco complesso monumentale, con sei colonne alternate alle sei statue raffiguranti la Vergine, Giannetta, e le virtù di fede, speranza, carità e umiltà. Le sei colonne reggono un trono che, slanciato verso la cupola, termina in un tripudio di angeli che recano una corona di stelle.
Sotto l’altar maggiore si trova il sacrario, dietro una cancellata del quale è custodita l’immagine dell’apparizione a Giannetta, una scultura lignea collocata nel 1932 – nel 500° dell’evento – in sostituzione di un precedente gruppo scultoreo.
Ancor più sotto, nel sotterraneo, si trova il Sacro Fonte, proprio là dove la Vergine apparve a Giannetta e dove l’acqua sgorgò miracolosamente dal terreno. Si tratta di un corridoio di 30 metri, lungo il quale alcune nicchie ricordano eventi miracolosi legati alla devozione della Vergine della Fonte. Ad esempio, si ritrova una mannaia che ricorda l’episodio del 1520 quando un brigante, condannato a morte, aspettava l’esecuzione, fissata proprio il 26 maggio, giorno della festa del Santuario, perché, accorrendo molti pellegrini, la cosa fungesse da monito. Convertitosi durante la prigionia, il malcapitato si vide scortare al patibolo proprio il 26 maggio 1520. Con grande sorpresa dei presenti, e profondo sollievo – immaginiamo – dell’interessato, per quanti tentativi si facessero la mannaia non voleva saperne di scendere, bloccandosi lungo il percorso della rudimentale ghigliottina. La folla gridò al miracolo e il poveretto, successivamente, fu liberato. Ancora, si conserva un catenaccio risalente al 1650 quando un pellegrino, imbattutosi in un malvivente che lo voleva uccidere, corse verso il tempio per cercare rifugio ma, trovando la porta sbarrata, invocò la Vergine: subito il catenaccio che serrava l’uscio cedette e il poveretto poté trovare riparo, mentre la porta si chiudeva inesorabilmente in faccia al persecutore.
Oltre a questi eventi miracolosi, una lettera del rappresentante del Duca di Milano, datata 1479, informa Gian Galeazzo Maria Visconti che, nei pressi della Fonte, la Vergine si era manifestata più volte e a più persone tra il 12 e il 26 aprile di quell’anno. La Vergine, circondata dagli angeli, non avrebbe lasciato messaggi ai veggenti, ma guarigioni miracolose avrebbero accompagnato l’evento soprannaturale, confermando l’abbondanza di grazie là concesse per intercessione di Maria.
Ma torniamo ora agli eventi di quel 1432, da cui tutto ebbe inizio. Perché, ora che abbiamo familiarizzato con il santuario e abbiamo percepito quanto rilevante sia il fonte in esso custodito, e quanto profonda la devozione che porta migliaia e migliaia di pellegrini ogni anno a recarsi là per bagnarsi con l’acqua miracolosa, cercando sollievo e guarigione, possiamo meglio comprendere come invece a esser un po’ trascurato sia stato proprio il messaggio di Maria a Giannetta. Un appello alla conversione che riecheggia quello di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo, il tempo della salvezza è venuto”. Ecco, anche a Giannetta la Vergine Maria ripete, come farà in numerose apparizioni nel corso dei secoli seguenti, fino ai giorni nostri, lo stesso appello pressante a cambiare la propria vita, ad abbandonare la strada del peccato. Tanto è urgente la richiesta di conversione dell’umanità peccatrice che Maria neppure chiede che venga edificato un luogo sacro – come abbiamo visto – ma invita Giannetta a dire a tutti che dedichino alla Vergine stessa il sabato, edificando nel proprio cuore un vero e proprio santuario di devozione mariana, ancora più importante forse e decisivo di qualsiasi edificio di culto che, puramente esteriore, non dovesse incidere sulla vita spirituale del credente. Come abbiamo già ricordato, l’edificazione del santuario sarà una conseguenza, spontanea e immediata, della gratitudine degli uomini per la cura sollecita di Maria nei loro confronti.
La base storica dell’apparizione del 1432 è si trova in diversi atti legali dello stesso anno che si riferiscono a lasciti e offerte impiegate per l’edificazione della cappellina-santuario. Dell’ospedale non si hanno invece notizie fino alla seconda metà del XV secolo. Il documento più importante è una pergamena datata 31 luglio 1432 che ricorda come i rappresentanti della comunità si recarono dal vescovo di Cremona per testimoniare il fatto, richiedendone l’esame canonico. L’originale del documento è andato perso, ma ne esistono trascrizioni ottocentesche attendibili.
Se l’evento è dunque storico, vediamo più da vicino la protagonista di questa meravigliosa storia. Giannetta è una figura avvolta nell’ombra dell’umile nascondimento, tanto che il suo nome neppure viene riportato nella pergamena succitata, tutta tesa a riportare il fatto soprannaturale. Più precise son le indicazioni trascritte nella visita pastorale del 1599 del vescovo di Cremona, che abbiamo ricordato in apertura. Giannetta, figlia di Pietro Vacchi, sposata con Francesco Varoli (non si sa se con figli o meno), ha 32 anni all’epoca dell’apparizione, dunque è nata nel 1400. “Tutti la conoscono”, si dice, per la vita semplice e la fede sincera. La tradizione allude a viaggi che la veggente avrebbe compiuto a Milano – l’interesse per gli eventi di Caravaggio da parte dei Visconti e degli Sforza è infatti documentata – e a Costantinopoli – fatto plausibile se si considerano le intense relazioni che all’epoca la corte dei Visconti intratteneva con l’imperatore bizantino per via del matrimonio di quest’ultimo con una esponente della dinastia Monferrato-Paleologo.
Almeno il primo dei viaggi merita di essere ricordato, poiché la storia del Morigi (del 1599) riporta che, saputo che il duca di Milano vuol incontrarla, la semplice Giannetta è turbata e incerta: la Vergine le appare dunque una seconda volta, invitandola ad andare senza indugio per riferire al duca quando accadutole il 26 maggio 1432.
Questa sorta di esitazione a dare testimonianza dell’accaduto – per cui sarebbe intervenuta la stessa Vergine a convincere Giannetta ad accettare l’invito a comparire dinnanzi al duca di Milano – è una ulteriore conferma dell’umiltà della veggente, la quale tende a scomparire dinnanzi alla grandezza dell’evento soprannaturale di cui è protagonista. La cosa è confermata dalla trascrizione della pergamena del 1432 che si preoccupa di riferire l’apparizione senza citare la stessa veggente, mentre la trascrizione vescovile del 1599, pur abbondando di particolari e notizie sulla giovane, passa sotto silenzio ogni sua parola, per esaltare invece il messaggio della Vergine.
Ecco, proprio questa sua umiltà, che ricorda il nascondimento di tanti altri veggenti – come non pensare alla piccola Bernadette Soubirous? –, potrebbe essere un ulteriore elemento di autenticità dell’apparizione stessa.
Ma, soprattutto, questa umiltà deve essere uno stimolo prezioso per ognuno di noi, affinché impariamo da Giannetta a farci piccoli dinnanzi a Maria, imitando in ciò la Vergine stessa che, dinnanzi all’invito di Dio a divenire strumento privilegiato del Suo disegno di salvezza per l’umanità, ha semplicemente pronunciato il suo fiat!, “eccomi!, dando piena disponibilità ad accogliere in sé l’incarnazione del Figlio di Dio per la redenzione degli uomini. E ricordiamoci poi di quanto scriveva Santa Teresa di Gesù Bambino nel suo diario, affermando sicura che, quanto più piccola si sarebbe fatta, tanto più il Signore si sarebbe chinato su di lei per prendersene amorevolmente cura.
Per penetrare ancor più nello spirito del Santuario di Caravaggio, vorrei ricordare alcune parole pronunciate da Giovanni Paolo II in occasione della visita a Caravaggio del 1992: “Ci rivolgiamo alla Madre delle nostre infermità per affidarle le intenzioni di tanti sofferenti, di tanti malati che sono qui riuniti, che qui anche intenzionalmente cercano un incontro con questa forza soprannaturale che salva. Molte volte non si vede questo miracolo del corpo che rimane sofferente. Ma si vede il miracolo dello spirito umano, che anche nel corpo sofferente è divenuto nuovo, sano, forte, ha ripreso la speranza: si è visto partecipe della redenzione operata da un Sofferente, da un Crocifisso. Si è visto in prospettiva con lui, con questo Crocifisso si è visto nella prospettiva della risurrezione: crocifisso e risorto”.
L’augurio, cari amici, è che ognuno di noi possa riconoscersi malato, bisognoso di guarigione, e possa trovare il desiderio di rivolgersi al Medico celeste che, lo sappiamo, guarirà le ferite del nostro cuore, liberandoci da ogni peccato. Per giungere alla completa guarigione del cuore chiediamo, per intercessione di Maria, di saper offrire ogni nostra sofferenza, fisica e spirituale, come partecipazione al sacrificio redentivo di Cristo, mettendo ogni nostro dolore, ogni nostro male, ogni nostra ansia sulla croce del Cristo: soltanto lì il dolore trova la sua risposta, il suo senso, in una offerta che innalza e trasfigura ogni sofferenza.