Gv 3, 14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Che Gesù sia venuto per salvare l’uomo e non anzitutto per condannarlo ne è prova la Sua morte in croce. Il Figlio di Dio, infatti, non si limita ad ammonire i peccatori o a richiamare le esigenze della Legge, bensì offre la Sua stessa vita in riscatto dei peccatori, contrapponendo la propria obbedienza fino alla morte di croce alla disobbedienza originaria dei nostri progenitori. Dinanzi al Salvatore – laddove questo titolo dice anzitutto la Sua missione – dobbiamo dunque riconoscere che Egli è sì, giusto giudice, ma anzitutto Padre buono, come ben insegna Santa Faustina Kowalska (1905-1938), apostola della Divina Misericordia. Per cui, non possiamo che appellarci alla sua clemenza, ma con profondo senso di responsabilità, ben sapendo che siamo liberi dinanzi alla chiamata dell’Amore di Dio. Trattandosi di una vocazione ad amare Dio, che è l’Amore per essenza, per essere autentica la nostra risposta d’amore non può che essere libera. Esperienza bellissima e drammatica, quella della libertà, laddove, accanto all’esaltante prospettiva di poter accogliere l’invito di Dio a entrare nella comunione d’amore con la Santissima Trinità, occorre anche riconoscere il tremendo rischio di rifiutare una simile opportunità. Non ci accada, pertanto, di essere tenebra che rifiuta la luce, bensì spalanchiamo il cuore e la vita a quella Luce che fa nuove tutte le cose.